Se, prima di divenire sede del governo militare nel 1603, Edo (Tokyo dal 1868) contava poche migliaia di anime, nell’arco di circa un secolo si trasformò nella più grande città al mondo, con un milione di persone che vi abitavano più o meno stabilmente. L’élite militare di tutto il paese, obbligata a risiedervi a intervalli regolari e a lasciarvi in modo permanente familiari e funzionari al proprio servizio, polarizzò infatti una crescente quantità di persone e merci a Edo, che si estese rapidamente per far spazio a residenze lussuose e quartieri popolari, templi e santuari, attività commerciali e luoghi di intrattenimento. Il contributo intende considerare le opere lasciate da alcuni tra i primi europei che giunsero a Edo nei quattro decenni precedenti l’adozione di severe restrizioni ai contatti con l’estero, quando la città era ancora in costruzione, prevalentemente militare e al maschile, e solo in parte popolata da quella vivace e colorata vita dei ceti urbani che sarebbero andati ad affollare la città bassa, e che avrebbero coniato una cultura popolare straordinariamente ricca e originale. Questa narrazione multilingue ci racconta di Edo sino all’espulsione dalla città, e dal Giappone, di missionari e mercanti europei, descrivendo uno spazio urbano che il grande incendio Meireki del 1567 – uno tra i più devastanti incendi nella storia della città, che causò oltre centomila vittime e da cui sopravvissero non più di venticinque edifici – avrebbe profondamente mutato. Queste descrizioni contribuiscono a comprendere la loro percezione di questo spazio urbano situato all’estrema periferia dell’Asia, in una fase storica in cui la percezione europea del Giappone non era ancora contaminata dai discorsi razziali e dalle pratiche coloniali che avrebbero contribuito ad assegnare all’Oriente una posizione di subalternità nell’immaginario collettivo europeo, e a trasformare i giapponesi in gialli.

Una metropoli alla fine dell’Asia: Edo narrata dai primi europei

CAROLI, Rosa
2015-01-01

Abstract

Se, prima di divenire sede del governo militare nel 1603, Edo (Tokyo dal 1868) contava poche migliaia di anime, nell’arco di circa un secolo si trasformò nella più grande città al mondo, con un milione di persone che vi abitavano più o meno stabilmente. L’élite militare di tutto il paese, obbligata a risiedervi a intervalli regolari e a lasciarvi in modo permanente familiari e funzionari al proprio servizio, polarizzò infatti una crescente quantità di persone e merci a Edo, che si estese rapidamente per far spazio a residenze lussuose e quartieri popolari, templi e santuari, attività commerciali e luoghi di intrattenimento. Il contributo intende considerare le opere lasciate da alcuni tra i primi europei che giunsero a Edo nei quattro decenni precedenti l’adozione di severe restrizioni ai contatti con l’estero, quando la città era ancora in costruzione, prevalentemente militare e al maschile, e solo in parte popolata da quella vivace e colorata vita dei ceti urbani che sarebbero andati ad affollare la città bassa, e che avrebbero coniato una cultura popolare straordinariamente ricca e originale. Questa narrazione multilingue ci racconta di Edo sino all’espulsione dalla città, e dal Giappone, di missionari e mercanti europei, descrivendo uno spazio urbano che il grande incendio Meireki del 1567 – uno tra i più devastanti incendi nella storia della città, che causò oltre centomila vittime e da cui sopravvissero non più di venticinque edifici – avrebbe profondamente mutato. Queste descrizioni contribuiscono a comprendere la loro percezione di questo spazio urbano situato all’estrema periferia dell’Asia, in una fase storica in cui la percezione europea del Giappone non era ancora contaminata dai discorsi razziali e dalle pratiche coloniali che avrebbero contribuito ad assegnare all’Oriente una posizione di subalternità nell’immaginario collettivo europeo, e a trasformare i giapponesi in gialli.
2015
146/2015
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