La prigione, intesa come simbolo del mondo illusorio e irreale, contrapposto all’interiorità dell’anima, è un tema ricorrente nei versi dei simbolisti russi, che risentono profondamente dell’influenza della filosofia di Schopenhauer, introdotto nella poesia modernista da Tjutčev e Fet. L’idea della prigione si collega, da un lato, al mito platonico della caverna e alla concezione dell’anima quale scintilla divina rinchiusa nel carcere del corpo, e, dall’altro, alla sensibilità escatologica del primo simbolismo russo, pervaso da moti gnostici, per cui è il mondo intero a diventare una gigantesca prigione, una prigione cosmica dalla quale è impossibile uscire. Nella lirica di Valerij Brjusov (1873-1924), fra i massimi fondatori del movimento simbolista in Russia, la prigione è un Leitmotiv frequente che assurge a simbolo polivalente e complesso. Nella sua prima raccolta, Chefs d’œuvre (1895), intrisa di motivi verlainiani, la prigione è l’espressione dell’interesse dei cosiddetti “vecchi simbolisti” per le atmosfere “decadenti”, i posti macabri, bui e tetri: questo è lo sfondo della poesia Glucha podzemnaja tjur’ma (Sorda è la prigione sotterranea), dove il carcere è rappresentato in modo tradizionale, come il luogo dell’anti-vita per eccellenza, della morte, del non-essere. A partire dalla terza raccolta di Brjusov, Tertia Vigilia (1900), sotto la condanna della prigione si cela invece la condanna dell’individualismo narcisistico, che il Brjusov urbanista e cantore della città biasima duramente. Nella poesia Ja znaju (Io so) il carcere diventa la metonimia dell’egotismo del poeta stesso, del suo “deserto di solitudine”, che sembra dissolversi solo a contatto con il “paradiso” urbano. La prigione brjusoviana sta, infatti, nell’uomo stesso e nella sua schiavitù mentale. Tuttavia, agli occhi di Brjusov, la prigione è una realtà interiore, soggettiva e propria della condizione umana, quanto esteriore, oggettiva e universale. Dal singolo individuo, come vedremo, il concetto della prigionia si assolutizza, estendendosi poi alla città (Zamknutye, Rinchiusi) e, quindi, al cosmo intero (V nekončenom zdanii, In un edificio non finito), che si trova rinchiuso in un edificio-mondo (miro-zdanie) fatto di spazi smisurati e di fagocitanti voragini.

Le prigioni di Brjusov. Il motivo della ‘tjur’ma’ nelle raccolte “Chefs d’oeuvre”, “Tertia vigilia” e “Urbi et orbi”

TORRESIN, LINDA
2013-01-01

Abstract

La prigione, intesa come simbolo del mondo illusorio e irreale, contrapposto all’interiorità dell’anima, è un tema ricorrente nei versi dei simbolisti russi, che risentono profondamente dell’influenza della filosofia di Schopenhauer, introdotto nella poesia modernista da Tjutčev e Fet. L’idea della prigione si collega, da un lato, al mito platonico della caverna e alla concezione dell’anima quale scintilla divina rinchiusa nel carcere del corpo, e, dall’altro, alla sensibilità escatologica del primo simbolismo russo, pervaso da moti gnostici, per cui è il mondo intero a diventare una gigantesca prigione, una prigione cosmica dalla quale è impossibile uscire. Nella lirica di Valerij Brjusov (1873-1924), fra i massimi fondatori del movimento simbolista in Russia, la prigione è un Leitmotiv frequente che assurge a simbolo polivalente e complesso. Nella sua prima raccolta, Chefs d’œuvre (1895), intrisa di motivi verlainiani, la prigione è l’espressione dell’interesse dei cosiddetti “vecchi simbolisti” per le atmosfere “decadenti”, i posti macabri, bui e tetri: questo è lo sfondo della poesia Glucha podzemnaja tjur’ma (Sorda è la prigione sotterranea), dove il carcere è rappresentato in modo tradizionale, come il luogo dell’anti-vita per eccellenza, della morte, del non-essere. A partire dalla terza raccolta di Brjusov, Tertia Vigilia (1900), sotto la condanna della prigione si cela invece la condanna dell’individualismo narcisistico, che il Brjusov urbanista e cantore della città biasima duramente. Nella poesia Ja znaju (Io so) il carcere diventa la metonimia dell’egotismo del poeta stesso, del suo “deserto di solitudine”, che sembra dissolversi solo a contatto con il “paradiso” urbano. La prigione brjusoviana sta, infatti, nell’uomo stesso e nella sua schiavitù mentale. Tuttavia, agli occhi di Brjusov, la prigione è una realtà interiore, soggettiva e propria della condizione umana, quanto esteriore, oggettiva e universale. Dal singolo individuo, come vedremo, il concetto della prigionia si assolutizza, estendendosi poi alla città (Zamknutye, Rinchiusi) e, quindi, al cosmo intero (V nekončenom zdanii, In un edificio non finito), che si trova rinchiuso in un edificio-mondo (miro-zdanie) fatto di spazi smisurati e di fagocitanti voragini.
2013
9
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in ARCA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/3660686
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact