Il Sofista di Platone e, specialmente, la sua digressione ontologica costituiscono l’innovativa risposta platonica al problema dello statuto ontologico del non essere suscitato dalla opposizione parmenidea di essere e non essere e, da un altro punto di vista, dal confronto con i sofisti in merito allo statuto e alle condizioni di esistenza del falso. Come è noto la soluzione platonica risiede nella distinzione dei sensi del non essere (non essere relativo e non essere assoluto) e, come vedremo fra poco, nella pluralizzazione dell’essere nel diverso. Tali operazioni sono rese possibili dall’analisi platonica in merito al significato della negazione come qualcosa di diverso dall’ esclusione e quindi come nesso relazionale tra i differenti. Le proposizioni negative, introdotte in greco dalle particelle me ed ou, esprimono cioè un rapporto di diversità complementare e non una relazione di contrarietà escludente. Tale soluzione platonica può sconcertare: essa ci dice che la negazione non significa esclusione, bensì relazione nella differenza. Tale significato della negazione è catturato, a mio parere, dalla lettura heideggeriana del Sofista di Platone e, in linea generale, dalla concezione dialettica della negazione, istanziata magistralmente da Hegel e dai suoi “interpreti”, specialmente Adorno. La tesi che vorrei qui dimostrare è che filosofie per molti versi opposte, come quelle di Heidegger e Hegel, su questo aspetto manifestano un tratto comune, ovvero l’intendere la negazione come relazione. Tale tesi, anche nei suoi tratti più ovvi (la negazione è una forma di relazione: una relazione di esclusione), mi pare essere fondamentale per evidenziare il lavoro del negativo nella filosofia della conoscenza, lavoro che si attua tra l’immediatezza e la mediazione o, come io propongo di chiamarla, nella sua “trasfigurazione”. Ripeto: se di prima battuta definiamo la negazione come esclusione, dobbiamo immediatamente notare come l’esclusione sia una forma della relazione. Tale trasformazione accade immediatamente o mediatamente? I due autori che ho scelto come rappresentanti di queste due vie metodologiche - si badi, il metodo è l’espressione stessa del contenuto – ovvero Hegel e Heidegger, utilizzano metodi differenti per portare alla luce tale forma della negazione: l’uno l’immediatezza fenomenologica, l’altro la mediazione dialettica. Entrambi però partono da quello che potrei chiamare il “laboratorio platonico della negazione” teso all’elaborazione di una configurazione della negazione altra rispetto a quella dell’esclusione. Obiettivo di tale articolo è quindi quello di evidenziare le strutture attraverso le quali la negazione si manifesta come relazione dimostrando come per gli autori scelti la temporalità sia il carattere proprio dell’apparire trasfigurante. In tal senso, una iniziale dicotomia tra i due autori basata sui concetti di immediatezza e mediazione, acquisisce un senso nuovo.

Il negativo è insieme anche positivo. La trasfigurazione della negazione tra immediatezza e mediazione

CANDIOTTO, LAURA
2015-01-01

Abstract

Il Sofista di Platone e, specialmente, la sua digressione ontologica costituiscono l’innovativa risposta platonica al problema dello statuto ontologico del non essere suscitato dalla opposizione parmenidea di essere e non essere e, da un altro punto di vista, dal confronto con i sofisti in merito allo statuto e alle condizioni di esistenza del falso. Come è noto la soluzione platonica risiede nella distinzione dei sensi del non essere (non essere relativo e non essere assoluto) e, come vedremo fra poco, nella pluralizzazione dell’essere nel diverso. Tali operazioni sono rese possibili dall’analisi platonica in merito al significato della negazione come qualcosa di diverso dall’ esclusione e quindi come nesso relazionale tra i differenti. Le proposizioni negative, introdotte in greco dalle particelle me ed ou, esprimono cioè un rapporto di diversità complementare e non una relazione di contrarietà escludente. Tale soluzione platonica può sconcertare: essa ci dice che la negazione non significa esclusione, bensì relazione nella differenza. Tale significato della negazione è catturato, a mio parere, dalla lettura heideggeriana del Sofista di Platone e, in linea generale, dalla concezione dialettica della negazione, istanziata magistralmente da Hegel e dai suoi “interpreti”, specialmente Adorno. La tesi che vorrei qui dimostrare è che filosofie per molti versi opposte, come quelle di Heidegger e Hegel, su questo aspetto manifestano un tratto comune, ovvero l’intendere la negazione come relazione. Tale tesi, anche nei suoi tratti più ovvi (la negazione è una forma di relazione: una relazione di esclusione), mi pare essere fondamentale per evidenziare il lavoro del negativo nella filosofia della conoscenza, lavoro che si attua tra l’immediatezza e la mediazione o, come io propongo di chiamarla, nella sua “trasfigurazione”. Ripeto: se di prima battuta definiamo la negazione come esclusione, dobbiamo immediatamente notare come l’esclusione sia una forma della relazione. Tale trasformazione accade immediatamente o mediatamente? I due autori che ho scelto come rappresentanti di queste due vie metodologiche - si badi, il metodo è l’espressione stessa del contenuto – ovvero Hegel e Heidegger, utilizzano metodi differenti per portare alla luce tale forma della negazione: l’uno l’immediatezza fenomenologica, l’altro la mediazione dialettica. Entrambi però partono da quello che potrei chiamare il “laboratorio platonico della negazione” teso all’elaborazione di una configurazione della negazione altra rispetto a quella dell’esclusione. Obiettivo di tale articolo è quindi quello di evidenziare le strutture attraverso le quali la negazione si manifesta come relazione dimostrando come per gli autori scelti la temporalità sia il carattere proprio dell’apparire trasfigurante. In tal senso, una iniziale dicotomia tra i due autori basata sui concetti di immediatezza e mediazione, acquisisce un senso nuovo.
2015
Forme della negazione. Un percorso interculturale tra Oriente e Occidente
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