Nell’articolo si esamina la trattazione aristotelica di giusto commutativo. In EN V Aristotele concentra riflessioni sul valore dei prodotti scambiati e la loro commensurabilità, sull’uso e la circolazione della moneta che sono state fondamentali per lo sviluppo del pensiero economico. Marx, per esempio, ha riconosciuto ad Aristotele il merito di aver scoperto il problema del valore della merce e ha attribuito il fallimento della sua analisi alla specifica struttura sociale dell’epoca basata sulla schiavitù. Per altri interpreti, invece, Aristotele avrebbe individuato nel bisogno il criterio per misurare il valore della merce. Alcuni, poi, hanno attribuito allo Stagirita la scoperta della dinamica della domanda e dell’offerta del mercato; altri gli hanno attribuito una teoria embrionale della preferenza individuale. Queste letture tuttavia sono problematiche. Data l’impostazione marxiana, l’analisi aristotelica del giusto commutativo si rivela inconcludente: Aristotele arriverebbe a enucleare un problema, ma sarebbe incapace di risolverlo. Aver, invece, interpretato la nozione di bisogno in termini soggettivi ha portato a fraintendere il riferimento aristotelico al bisogno oggettivo dei produttori ai fini dell’autosufficienza, non solo individuale ma politica, e a considerare i produttori come individui socialmente isolati, anziché come portatori e rappresentanti di una rete di relazioni all’interno di una comunità politica, di cui Aristotele intende preservare gli equilibri. In entrambe le prospettive, infine, la tesi aristotelica sulle differenze tra i produttori coinvolti nello scambio e sulla trasmissibilità di tali diseguaglianze nei rispettivi prodotti è risultata incomprensibile. In questo lavoro, ci si propone di spiegare la concezione aristotelica dello scambio commerciale, alla luce della tassonomia dei significati di giustizia e più specificamente della giustizia regolativa.

"Come un architetto sta a un calzolaio": la nozione aristotelica di giustizia commutativa

MASI, Francesca
2016-01-01

Abstract

Nell’articolo si esamina la trattazione aristotelica di giusto commutativo. In EN V Aristotele concentra riflessioni sul valore dei prodotti scambiati e la loro commensurabilità, sull’uso e la circolazione della moneta che sono state fondamentali per lo sviluppo del pensiero economico. Marx, per esempio, ha riconosciuto ad Aristotele il merito di aver scoperto il problema del valore della merce e ha attribuito il fallimento della sua analisi alla specifica struttura sociale dell’epoca basata sulla schiavitù. Per altri interpreti, invece, Aristotele avrebbe individuato nel bisogno il criterio per misurare il valore della merce. Alcuni, poi, hanno attribuito allo Stagirita la scoperta della dinamica della domanda e dell’offerta del mercato; altri gli hanno attribuito una teoria embrionale della preferenza individuale. Queste letture tuttavia sono problematiche. Data l’impostazione marxiana, l’analisi aristotelica del giusto commutativo si rivela inconcludente: Aristotele arriverebbe a enucleare un problema, ma sarebbe incapace di risolverlo. Aver, invece, interpretato la nozione di bisogno in termini soggettivi ha portato a fraintendere il riferimento aristotelico al bisogno oggettivo dei produttori ai fini dell’autosufficienza, non solo individuale ma politica, e a considerare i produttori come individui socialmente isolati, anziché come portatori e rappresentanti di una rete di relazioni all’interno di una comunità politica, di cui Aristotele intende preservare gli equilibri. In entrambe le prospettive, infine, la tesi aristotelica sulle differenze tra i produttori coinvolti nello scambio e sulla trasmissibilità di tali diseguaglianze nei rispettivi prodotti è risultata incomprensibile. In questo lavoro, ci si propone di spiegare la concezione aristotelica dello scambio commerciale, alla luce della tassonomia dei significati di giustizia e più specificamente della giustizia regolativa.
2016
10
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