Si ha comprensione intellettuale quando si riesce a cogliere l’insieme degli elementi che costituiscono un concetto e, contestualmente, a integrarli nelle proprie strutture di conoscenza. Per far questo l’individuo si serve del pensiero, o, meglio, della facoltà del pensare, l’attività cognitiva mediante la quale egli acquista coscienza di sé e della realtà esterna. Quando, però, la realtà, già intrinsecamente problematica, presenta i caratteri della complessità, è composta, cioè, da numerosi costituenti che interagiscono in modo non lineare, il pensiero è chiamato ad un compito molto più arduo: deve riuscire a destrutturare e a ristrutturare schemi consolidati, a seguire le strade impervie di collegamenti mai praticati prima, a liberarsi di ogni forma di rigidità. In poche parole, con il complessificarsi della realtà diventa complessa anche l’attività cognitiva necessaria a comprenderla. Tale pensiero, che, come specifica Morin, si connota come complesso esso stesso, pone, tra i suoi postulati di base, la flessibilità: concepita nell’ottica di una piena realizzazione della persona rispetto alla qualità delle cose che può fare in maniera costruttiva e soddisfacente e, dunque, di una piena capacitazione delle sue possibilità, la flessibilità si esplica nell’acquisizione della capacità di transfer, da intendersi sia come capacità di apprendere in contesti nuovi che comportino una rivisitazione in chiave critica delle strutture di conoscenza pregresse, che come utilizzo di conoscenze e di abilità in contesti d’uso diversi da quelli iniziali. Essa soddisfa, inoltre, un’esigenza assurta già ad emergenza culturale: rispondere nell’immediato a situazioni nuove, impreviste e composite con decisioni efficaci ed efficienti. Poco importa, poi, se si tratti della riconfigurazione di ‘confini’ geografici o concettuali, di assetti economici o epistemici, di equilibri politici o disciplinari, di sistemi biologici o artificiali: la flessibilità nei comportamenti è in tutti i casi, prima di tutto, una flessibilità nelle modalità cognitive. Il problema politico, come quello economico, sociale e culturale diventano, quindi, necessariamente un problema solo. E, ancora, lungo tale prospettiva interpretativa, il problema politico, come quello economico, sociale e culturale divengono prioritariamente un problema pedagogico. La domanda che la Pedagogia deve porsi, allora, se non vuole abdicare al compito di orientare i processi in funzione degli scopi, riguarda il modo in cui è possibile orientare il complesso sistema delle scienze che cooperano per sostenere il funzionamento del complesso sistema cognitivo, fattore determinante nella gestione del complesso sistema mondo. Giunge, così, a maturazione una questione che ha tenuto impegnati a lungo filosofi e psicologi, che riguarda il modo in cui è possibile gestire l’incertezza e l’imprevedibilità dei contesti di vita, e, contestualmente, si definisce il core problem affrontato dalla ricerca, una gestione flessibile delle strutture di conoscenza che consenta al soggetto di appropriarsi dei molteplici livelli di analisi e di spiegazione di uno stesso fenomeno, preludio ineludibile all’adozione di soluzioni adeguate. Matura, così, il progetto di un lavoro di ricerca che si offrisse al lettore quale contributo, sia sotto il profilo metodologico che dell’elaborazione teorica, alla riflessione su questo nuovo versante di indagine della ricerca pedagogica. Ma è una ricerca che prende molto sul serio la radice semantica del verbo ricercare e che, pertanto, si autoconcepisce come un errare, lucido e finalmente libero da molti preconcetti e confini, tra i significati di un medesimo concetto, che, altrettanto lucidamente, mette in conto il rischio di “mancare la meta” (Morin, 2004, p. 18). Questi i motivi della pubblicazione del volume: perché solo dalla narrazione può emergere la sua natura costruttiva, che è, ancor prima che il frutto di una collaborazione, l’esito di un’intuizione solitaria a lungo messa a tacere, diventata poi studio disciplinare e, quando sembrava fosse giunta a maturazione, subito trasformatasi nell’unica certezza raggiungibile da chi fa ricerca: la conoscenza è un nome singolare che cela una natura multidimensionale conoscibile solo a seguito di uno sforzo plurale. Per raccontarlo quale criterio adottare se non quello di iniziare dalle motivazioni, dai dubbi, dalle domande che lo hanno generato. Sarà, dunque, almeno in apertura, il racconto di come sia avvenuto quello che la Stengers definisce “il risveglio ad un problema” in ambito pedagogico, della successiva collocazione in un contesto di ricerca più ampio, delle motivazioni alla base della scelta del metodo e delle difficoltà incontrate nel declinarlo agli scopi conoscitivi propri del lavoro in questione (la prima sezione). L’altra parte del racconto riguarderà la narrazione, affascinante e intensa, dei cammini conoscitivi percorsi seguendo il file rouge della flessibilità, comunque essa si declini (la seconda sezione): un’esplorazione sistematica dei territori all’interno dei quali matura il bisogno di flessibilità che affida agli esperti d’ambito il compito di definire in che termini si ponga, di volta in volta, la questione della gestione flessibile della conoscenza e di chiarire le questioni salienti ai fini della ricerca. Un modo di procedere, questo, in perfetta sintonia con quello della scienza, oggi fortemente riduzionista non in senso ontologico, ma esplicativo, grazie al quale il riferimento, ad altre entità, altri fenomeni e altri processi studiati da altre discipline, diventa pratica consolidata. La flessibilità diventa, così, non più oggetto esclusivo di un campo di ricerca, quello della Pedagogia, ma il frutto delle sollecitazioni, delle esigenze, delle problematizzazioni, degli errori e delle scoperte che caratterizzeranno la ricerca in ogni ambito. Da ultimo, la narrazione del tentativo, a tratti immaginifico, di ricondurre a sé la conoscenza in un insieme che non riconosce confini e che si ribella alla staticità di un qualsiasi sforzo definitore (la terza sezione). A fronte di quanto emerso, viene, infatti, sperimentato un metodo di analisi della ricerca teorica pensato per concetti ad elevato indice di complessità, grazie al quale riuscire a cogliere gli intrecci, i rimandi, le combinazioni, le connessioni tra le informazioni presenti nei vari settori settori disciplinari, in relazione ai quali abbozzare una visione d’insieme che sia concepita in maniera dialogica e proporre una riconcettualizzazione (tra le tante possibili) del compito formativo ad essa coerente. Tra la disamina di un aspetto e l’altro, giusto lo spazio per nuove motivazioni, altri dubbi, diverse domande. E anche per una certezza: la fondatezza dell’apertura ad un modello sistemico di analisi dei problemi.

flessibilMENTE. Un modello sistemico di approccio al tema della flessibilità

Ines Giunta
2014-01-01

Abstract

Si ha comprensione intellettuale quando si riesce a cogliere l’insieme degli elementi che costituiscono un concetto e, contestualmente, a integrarli nelle proprie strutture di conoscenza. Per far questo l’individuo si serve del pensiero, o, meglio, della facoltà del pensare, l’attività cognitiva mediante la quale egli acquista coscienza di sé e della realtà esterna. Quando, però, la realtà, già intrinsecamente problematica, presenta i caratteri della complessità, è composta, cioè, da numerosi costituenti che interagiscono in modo non lineare, il pensiero è chiamato ad un compito molto più arduo: deve riuscire a destrutturare e a ristrutturare schemi consolidati, a seguire le strade impervie di collegamenti mai praticati prima, a liberarsi di ogni forma di rigidità. In poche parole, con il complessificarsi della realtà diventa complessa anche l’attività cognitiva necessaria a comprenderla. Tale pensiero, che, come specifica Morin, si connota come complesso esso stesso, pone, tra i suoi postulati di base, la flessibilità: concepita nell’ottica di una piena realizzazione della persona rispetto alla qualità delle cose che può fare in maniera costruttiva e soddisfacente e, dunque, di una piena capacitazione delle sue possibilità, la flessibilità si esplica nell’acquisizione della capacità di transfer, da intendersi sia come capacità di apprendere in contesti nuovi che comportino una rivisitazione in chiave critica delle strutture di conoscenza pregresse, che come utilizzo di conoscenze e di abilità in contesti d’uso diversi da quelli iniziali. Essa soddisfa, inoltre, un’esigenza assurta già ad emergenza culturale: rispondere nell’immediato a situazioni nuove, impreviste e composite con decisioni efficaci ed efficienti. Poco importa, poi, se si tratti della riconfigurazione di ‘confini’ geografici o concettuali, di assetti economici o epistemici, di equilibri politici o disciplinari, di sistemi biologici o artificiali: la flessibilità nei comportamenti è in tutti i casi, prima di tutto, una flessibilità nelle modalità cognitive. Il problema politico, come quello economico, sociale e culturale diventano, quindi, necessariamente un problema solo. E, ancora, lungo tale prospettiva interpretativa, il problema politico, come quello economico, sociale e culturale divengono prioritariamente un problema pedagogico. La domanda che la Pedagogia deve porsi, allora, se non vuole abdicare al compito di orientare i processi in funzione degli scopi, riguarda il modo in cui è possibile orientare il complesso sistema delle scienze che cooperano per sostenere il funzionamento del complesso sistema cognitivo, fattore determinante nella gestione del complesso sistema mondo. Giunge, così, a maturazione una questione che ha tenuto impegnati a lungo filosofi e psicologi, che riguarda il modo in cui è possibile gestire l’incertezza e l’imprevedibilità dei contesti di vita, e, contestualmente, si definisce il core problem affrontato dalla ricerca, una gestione flessibile delle strutture di conoscenza che consenta al soggetto di appropriarsi dei molteplici livelli di analisi e di spiegazione di uno stesso fenomeno, preludio ineludibile all’adozione di soluzioni adeguate. Matura, così, il progetto di un lavoro di ricerca che si offrisse al lettore quale contributo, sia sotto il profilo metodologico che dell’elaborazione teorica, alla riflessione su questo nuovo versante di indagine della ricerca pedagogica. Ma è una ricerca che prende molto sul serio la radice semantica del verbo ricercare e che, pertanto, si autoconcepisce come un errare, lucido e finalmente libero da molti preconcetti e confini, tra i significati di un medesimo concetto, che, altrettanto lucidamente, mette in conto il rischio di “mancare la meta” (Morin, 2004, p. 18). Questi i motivi della pubblicazione del volume: perché solo dalla narrazione può emergere la sua natura costruttiva, che è, ancor prima che il frutto di una collaborazione, l’esito di un’intuizione solitaria a lungo messa a tacere, diventata poi studio disciplinare e, quando sembrava fosse giunta a maturazione, subito trasformatasi nell’unica certezza raggiungibile da chi fa ricerca: la conoscenza è un nome singolare che cela una natura multidimensionale conoscibile solo a seguito di uno sforzo plurale. Per raccontarlo quale criterio adottare se non quello di iniziare dalle motivazioni, dai dubbi, dalle domande che lo hanno generato. Sarà, dunque, almeno in apertura, il racconto di come sia avvenuto quello che la Stengers definisce “il risveglio ad un problema” in ambito pedagogico, della successiva collocazione in un contesto di ricerca più ampio, delle motivazioni alla base della scelta del metodo e delle difficoltà incontrate nel declinarlo agli scopi conoscitivi propri del lavoro in questione (la prima sezione). L’altra parte del racconto riguarderà la narrazione, affascinante e intensa, dei cammini conoscitivi percorsi seguendo il file rouge della flessibilità, comunque essa si declini (la seconda sezione): un’esplorazione sistematica dei territori all’interno dei quali matura il bisogno di flessibilità che affida agli esperti d’ambito il compito di definire in che termini si ponga, di volta in volta, la questione della gestione flessibile della conoscenza e di chiarire le questioni salienti ai fini della ricerca. Un modo di procedere, questo, in perfetta sintonia con quello della scienza, oggi fortemente riduzionista non in senso ontologico, ma esplicativo, grazie al quale il riferimento, ad altre entità, altri fenomeni e altri processi studiati da altre discipline, diventa pratica consolidata. La flessibilità diventa, così, non più oggetto esclusivo di un campo di ricerca, quello della Pedagogia, ma il frutto delle sollecitazioni, delle esigenze, delle problematizzazioni, degli errori e delle scoperte che caratterizzeranno la ricerca in ogni ambito. Da ultimo, la narrazione del tentativo, a tratti immaginifico, di ricondurre a sé la conoscenza in un insieme che non riconosce confini e che si ribella alla staticità di un qualsiasi sforzo definitore (la terza sezione). A fronte di quanto emerso, viene, infatti, sperimentato un metodo di analisi della ricerca teorica pensato per concetti ad elevato indice di complessità, grazie al quale riuscire a cogliere gli intrecci, i rimandi, le combinazioni, le connessioni tra le informazioni presenti nei vari settori settori disciplinari, in relazione ai quali abbozzare una visione d’insieme che sia concepita in maniera dialogica e proporre una riconcettualizzazione (tra le tante possibili) del compito formativo ad essa coerente. Tra la disamina di un aspetto e l’altro, giusto lo spazio per nuove motivazioni, altri dubbi, diverse domande. E anche per una certezza: la fondatezza dell’apertura ad un modello sistemico di analisi dei problemi.
2014
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