Mutuando un adagio abusato dagli studiosi di management, niente potrebbe essere più pratico di un serio ed approfondito ragionamento sulle teorie dell'imprenditorialità, vista la sua importanza in agenda e data la gravità della crisi economica. L'adozione -più o meno consapevole- di una teoria dell'imprenditorialità nell'elaborazione delle politiche ha rilevanti effetti reali in termini di allocazione delle risorse, inclusione o esclusione di determinati comparti e settori negli schemi di incentivazione e finanziamento, riconoscimento sociale e stimolo alla creazione d'impresa nelle generazioni più giovani. Questo breve saggio muove da alcune considerazioni sul rapporto della task force per le startup nominata dal Ministero dello Sviluppo Economico per rilevare come in Italia la politica si muova chiaramente dentro il perimetro di una particolare prospettiva sull'imprenditorialità, sposandone gli assunti ed agendo di conseguenza. In particolare, l'enfasi della task force, e del dibattito più generale negli ultimi dieci anni, è sulla necessità di stimolare e favorire le startup "innovative" -cioè attestate su tecnologie o settori di punta, sul presidio della frontiera scientifico/tecnologica, ad elevata intensità di conoscenza "formale" e forte propensione alla brevettazione o all'uso di privative industriali- come preludio ad un rilancio vigoroso dell'economia nazionale. Questa impostazione, legittima, rischia di marginalizzare, nell'immaginario e nelle aspirazioni dei giovani prima ancora che nell'assegnazione di risorse, percorsi di creazione d'impresa nei settori tipici del made in Italy e soprattutto nei servizi a loro collegati. In un momento nel quale il dibattito politico internazionale parla con crescente vigore di ritorno del manifatturiero nelle economie sviluppate e di una nuova generazione di servizi a supporto del manifatturiero di nuova generazione, questa marginalizzazione potrebbe risultare controproducente.

L'imprenditorialità del fare. Come essere innovatori anche senza fondare una start-up

FINOTTO, Vladi
2012-01-01

Abstract

Mutuando un adagio abusato dagli studiosi di management, niente potrebbe essere più pratico di un serio ed approfondito ragionamento sulle teorie dell'imprenditorialità, vista la sua importanza in agenda e data la gravità della crisi economica. L'adozione -più o meno consapevole- di una teoria dell'imprenditorialità nell'elaborazione delle politiche ha rilevanti effetti reali in termini di allocazione delle risorse, inclusione o esclusione di determinati comparti e settori negli schemi di incentivazione e finanziamento, riconoscimento sociale e stimolo alla creazione d'impresa nelle generazioni più giovani. Questo breve saggio muove da alcune considerazioni sul rapporto della task force per le startup nominata dal Ministero dello Sviluppo Economico per rilevare come in Italia la politica si muova chiaramente dentro il perimetro di una particolare prospettiva sull'imprenditorialità, sposandone gli assunti ed agendo di conseguenza. In particolare, l'enfasi della task force, e del dibattito più generale negli ultimi dieci anni, è sulla necessità di stimolare e favorire le startup "innovative" -cioè attestate su tecnologie o settori di punta, sul presidio della frontiera scientifico/tecnologica, ad elevata intensità di conoscenza "formale" e forte propensione alla brevettazione o all'uso di privative industriali- come preludio ad un rilancio vigoroso dell'economia nazionale. Questa impostazione, legittima, rischia di marginalizzare, nell'immaginario e nelle aspirazioni dei giovani prima ancora che nell'assegnazione di risorse, percorsi di creazione d'impresa nei settori tipici del made in Italy e soprattutto nei servizi a loro collegati. In un momento nel quale il dibattito politico internazionale parla con crescente vigore di ritorno del manifatturiero nelle economie sviluppate e di una nuova generazione di servizi a supporto del manifatturiero di nuova generazione, questa marginalizzazione potrebbe risultare controproducente.
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