Prendendo spunto dal dibattito fra Propp e Lévi-Strauss sui rapporti tra fiaba e mito, viene proposta una teoria sull’origine della fiaba che si fonda su queste premesse: (1) che la fiaba derivi dai miti iniziatici dei cacciatori-raccoglitori (come ha dimostrato Propp); (2) che sia stata diffusa dai marginali (vagabondi, mendicanti, ambulanti, fieranti, malviventi); (3) che i marginali siano gli attuali discendenti (culturali, non biologici) dei cacciatori-raccoglitori. Se è vero che la fiaba riproduce dei miti (come afferma Propp), è anche vero che la fiaba è diversa dal mito (come obietta Lévi-Strauss): il punto cruciale riguarda allora il distacco della fiaba dal mito. La forma costitutivamente fantastica della fiaba la definisce come prodotto culturalmente esotico fin dall’origine. Secondo Propp la fiaba nasce, in seguito all’evoluzione lineare da cacciatori a coltivatori, con la perdita di senso dei miti iniziatici e la loro trasformazione in fiabe. Io penso invece che la fiaba nasca dal rapporto tra le società di caccia-raccolta e le società agro-pastorali, che la fiaba sia il prodotto culturale di questa simbiosi, ampiamente documentata in Africa e altrove dal Neolitico in poi: i cacciatori-raccoglitori sono ‘incapsulati’ in società produttive (di agricoltori e di pastori), con le quali hanno continui scambi non solo economici, ma anche culturali: le donne dei cacciatori sposano agricoltori e pastori, si stabiliscono nei loro villaggi e ne crescono la prole; ai cacciatori sono spesso demandati i rituali magici e le iniziazioni. Conversazione, racconto e arte verbale hanno un ruolo fondamentale nella cultura dei cacciatori-raccoglitori, e sono stati sfruttati come risorse (al pari di carne, miele, magia) nei loro rapporti con i vicini. La mia ipotesi è che i miti iniziatici raccontati dai cacciatori nelle sedute attorno al fuoco, e dalle loro donne nell’accudimento dei bambini, sono diventati, per gli ascoltatori sedentari, le fiabe magiche.

Sull'origine della fiaba

SANGA, Glauco
2013-01-01

Abstract

Prendendo spunto dal dibattito fra Propp e Lévi-Strauss sui rapporti tra fiaba e mito, viene proposta una teoria sull’origine della fiaba che si fonda su queste premesse: (1) che la fiaba derivi dai miti iniziatici dei cacciatori-raccoglitori (come ha dimostrato Propp); (2) che sia stata diffusa dai marginali (vagabondi, mendicanti, ambulanti, fieranti, malviventi); (3) che i marginali siano gli attuali discendenti (culturali, non biologici) dei cacciatori-raccoglitori. Se è vero che la fiaba riproduce dei miti (come afferma Propp), è anche vero che la fiaba è diversa dal mito (come obietta Lévi-Strauss): il punto cruciale riguarda allora il distacco della fiaba dal mito. La forma costitutivamente fantastica della fiaba la definisce come prodotto culturalmente esotico fin dall’origine. Secondo Propp la fiaba nasce, in seguito all’evoluzione lineare da cacciatori a coltivatori, con la perdita di senso dei miti iniziatici e la loro trasformazione in fiabe. Io penso invece che la fiaba nasca dal rapporto tra le società di caccia-raccolta e le società agro-pastorali, che la fiaba sia il prodotto culturale di questa simbiosi, ampiamente documentata in Africa e altrove dal Neolitico in poi: i cacciatori-raccoglitori sono ‘incapsulati’ in società produttive (di agricoltori e di pastori), con le quali hanno continui scambi non solo economici, ma anche culturali: le donne dei cacciatori sposano agricoltori e pastori, si stabiliscono nei loro villaggi e ne crescono la prole; ai cacciatori sono spesso demandati i rituali magici e le iniziazioni. Conversazione, racconto e arte verbale hanno un ruolo fondamentale nella cultura dei cacciatori-raccoglitori, e sono stati sfruttati come risorse (al pari di carne, miele, magia) nei loro rapporti con i vicini. La mia ipotesi è che i miti iniziatici raccontati dai cacciatori nelle sedute attorno al fuoco, e dalle loro donne nell’accudimento dei bambini, sono diventati, per gli ascoltatori sedentari, le fiabe magiche.
2013
67-68
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