Artista e insegnante di pregio e fine teorico, Norman Raeben è conosciuto soprattutto per l’influenza esercitata su Bob Dylan, il quale ne frequentò l’atelier nel 1974. L’assenza di materiali e la carenza di studi sul pensiero e l’opera raebeniani hanno fatto, però, di questa influenza un mistero quarantennale della critica. Obiettivo della tesi è colmare questo vuoto di studi. Nella prima sezione si ricostruiscono la vita e l’opera di Raeben, del quale si studiano il pensiero e le metodologie didattiche. Della complessa teoria artistica raebeniana sono approfonditi i temi di maggiore importanza: la ricerca di un principio di sintesi tra la tradizione ebraica e la filosofia euroamericana, l’ideale dell’Art for Life’s Sake, le teorie su tempo, spazio, metafora e palinsesto, e come queste si traducano nella sua pittura unendo le lezioni del Realismo americano e del Postimpressionismo francese. La seconda sezione esamina diacronicamente la produzione di Dylan, mettendo in luce soprattutto il ruolo che le lezioni raebeniane hanno avuto sull’evoluzione della sua poetica. Lo studio prende le mosse dalle considerazioni dell’autore stesso, che affermò a più riprese di essere riuscito, proprio grazie a Raeben, a riconnettersi con le Muse dopo un lungo periodo di crisi artistica. L’analisi si concentra in particolare sull’uso dell’immagine, della metafora e del palinsesto, sull’influsso della cultura ebraica e afroamericana e sulle sperimentazioni sul tempo. Dalla disamina emerge come tali ricerche contraddistinguano i dischi degli esordi fino all’incidente del 1967 e quelli successivi al 1974, ma vengano invece meno nella produzione intermedia risalente al ritiro a Woodstock. Tramite un’analisi dettagliata delle opere e delle interviste successive alle lezioni si dà conto del fatto che Dylan comprende e impugna la propria poetica giovanile, perfezionandone e padroneggiandone le modalità compositive in maniera più matura e misurata. Ciò dipende in parte anche dal fatto che, basandosi sulla metodologia raebeniana, Dylan elabora un vero e proprio modus scribendi, che sperimenta per la prima volta nei libretti su cui compone l’album Blood on the Tracks e che continua a impiegare e a perfezionare nei decenni a seguire. Un approfondimento specifico è dedicato anche alla produzione pittorica di Dylan, di cui si rilevano gli elementi di continuità e di discontinuità rispetto ai precetti del mentore. Sono infine affrontati il problema del canone e del rapporto con le fonti e con la tradizione e le sperimentazioni sul tempo, temi a loro volta fortemente influenzati dalle lezioni raebeniane. Se con la riflessione di Raeben la tradizionale contrapposizione tra Atene e Gerusalemme studiata dalla critica si arricchisce di un binomio nuovo, che ruota attorno a Parigi e New York, la ricerca di Dylan risponde a sua volta a due diversi princìpi, simboleggiati, come appare in Blind Willie McTell, da New Orleans e ‘New Jerusalem’: quello afroamericano, rappresentato dalla città simbolo dell’incontro tra musica africana e occidentale, e quello ebreo americano, incarnato dalla ‘Nuova Gerusalemme’. In entrambi i casi si tratta di un’arte della diaspora, la cui concezione messianica del processo artistico fa delle loro produzioni delle opere intermediali, aperte e in continua evoluzione.

"All the Way from New Orleans to New Jerusalem": Norman Raeben e Bob Dylan

Fantuzzi, Fabio
2020-01-01

Abstract

Artista e insegnante di pregio e fine teorico, Norman Raeben è conosciuto soprattutto per l’influenza esercitata su Bob Dylan, il quale ne frequentò l’atelier nel 1974. L’assenza di materiali e la carenza di studi sul pensiero e l’opera raebeniani hanno fatto, però, di questa influenza un mistero quarantennale della critica. Obiettivo della tesi è colmare questo vuoto di studi. Nella prima sezione si ricostruiscono la vita e l’opera di Raeben, del quale si studiano il pensiero e le metodologie didattiche. Della complessa teoria artistica raebeniana sono approfonditi i temi di maggiore importanza: la ricerca di un principio di sintesi tra la tradizione ebraica e la filosofia euroamericana, l’ideale dell’Art for Life’s Sake, le teorie su tempo, spazio, metafora e palinsesto, e come queste si traducano nella sua pittura unendo le lezioni del Realismo americano e del Postimpressionismo francese. La seconda sezione esamina diacronicamente la produzione di Dylan, mettendo in luce soprattutto il ruolo che le lezioni raebeniane hanno avuto sull’evoluzione della sua poetica. Lo studio prende le mosse dalle considerazioni dell’autore stesso, che affermò a più riprese di essere riuscito, proprio grazie a Raeben, a riconnettersi con le Muse dopo un lungo periodo di crisi artistica. L’analisi si concentra in particolare sull’uso dell’immagine, della metafora e del palinsesto, sull’influsso della cultura ebraica e afroamericana e sulle sperimentazioni sul tempo. Dalla disamina emerge come tali ricerche contraddistinguano i dischi degli esordi fino all’incidente del 1967 e quelli successivi al 1974, ma vengano invece meno nella produzione intermedia risalente al ritiro a Woodstock. Tramite un’analisi dettagliata delle opere e delle interviste successive alle lezioni si dà conto del fatto che Dylan comprende e impugna la propria poetica giovanile, perfezionandone e padroneggiandone le modalità compositive in maniera più matura e misurata. Ciò dipende in parte anche dal fatto che, basandosi sulla metodologia raebeniana, Dylan elabora un vero e proprio modus scribendi, che sperimenta per la prima volta nei libretti su cui compone l’album Blood on the Tracks e che continua a impiegare e a perfezionare nei decenni a seguire. Un approfondimento specifico è dedicato anche alla produzione pittorica di Dylan, di cui si rilevano gli elementi di continuità e di discontinuità rispetto ai precetti del mentore. Sono infine affrontati il problema del canone e del rapporto con le fonti e con la tradizione e le sperimentazioni sul tempo, temi a loro volta fortemente influenzati dalle lezioni raebeniane. Se con la riflessione di Raeben la tradizionale contrapposizione tra Atene e Gerusalemme studiata dalla critica si arricchisce di un binomio nuovo, che ruota attorno a Parigi e New York, la ricerca di Dylan risponde a sua volta a due diversi princìpi, simboleggiati, come appare in Blind Willie McTell, da New Orleans e ‘New Jerusalem’: quello afroamericano, rappresentato dalla città simbolo dell’incontro tra musica africana e occidentale, e quello ebreo americano, incarnato dalla ‘Nuova Gerusalemme’. In entrambi i casi si tratta di un’arte della diaspora, la cui concezione messianica del processo artistico fa delle loro produzioni delle opere intermediali, aperte e in continua evoluzione.
2020
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10278/5007482
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