I doveri degli amministratori di una società di capitali sono rivolti, di norma, verso i soci e, in caso di crisi, subiscono uno “slittamento” verso i creditori, oppure sono sempre rivolti verso la società che gestiscono, quale che sia la sua situazione? La scelta tra queste due possibili ricostruzioni, finora nel nostro ordinamento principalmente teorica, ha recentemente acquisito rilevanza pratica per effetto della norma emergenziale di cui all’art. 6 d.l. n. 23/2020, che ha permesso ad alcune società di continuare a operare, pur se prive del capitale sociale minimo, senza un vincolo di gestione conservativa ex art. 2486 c.c. Rispetto a queste società, la prima tesi finisce per imporre agli amministratori un paradigma di gestione ricavato tramite una reductio ad unum, quanto mai complessa, dei molteplici interessi dei creditori, interessi variabili nel tempo e fra loro contrapposti in ragione delle rispettive aspettative di soddisfazione. Diviene dunque preferibile l’adesione alla seconda tesi, che vincola la gestione, in ogni caso e dunque malgrado la crisi, alla massimizzazione del valore del patrimonio sociale. La crisi impone tuttavia dei correttivi alla gestione degli amministratori, e la più ampia libertà di cui essi sembrano godere, fuori dal cono d’ombra degli obblighi di gestione conservativa, schiude inevitabilmente a un più penetrante scrutinio giudiziale del merito delle loro scelte.

La gestione non conservativa della società con patrimonio insufficiente

I. Donati
2021-01-01

Abstract

I doveri degli amministratori di una società di capitali sono rivolti, di norma, verso i soci e, in caso di crisi, subiscono uno “slittamento” verso i creditori, oppure sono sempre rivolti verso la società che gestiscono, quale che sia la sua situazione? La scelta tra queste due possibili ricostruzioni, finora nel nostro ordinamento principalmente teorica, ha recentemente acquisito rilevanza pratica per effetto della norma emergenziale di cui all’art. 6 d.l. n. 23/2020, che ha permesso ad alcune società di continuare a operare, pur se prive del capitale sociale minimo, senza un vincolo di gestione conservativa ex art. 2486 c.c. Rispetto a queste società, la prima tesi finisce per imporre agli amministratori un paradigma di gestione ricavato tramite una reductio ad unum, quanto mai complessa, dei molteplici interessi dei creditori, interessi variabili nel tempo e fra loro contrapposti in ragione delle rispettive aspettative di soddisfazione. Diviene dunque preferibile l’adesione alla seconda tesi, che vincola la gestione, in ogni caso e dunque malgrado la crisi, alla massimizzazione del valore del patrimonio sociale. La crisi impone tuttavia dei correttivi alla gestione degli amministratori, e la più ampia libertà di cui essi sembrano godere, fuori dal cono d’ombra degli obblighi di gestione conservativa, schiude inevitabilmente a un più penetrante scrutinio giudiziale del merito delle loro scelte.
2021
4/2021
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